In Italia c’è così poca consapevolezza sul razzismo sistemico che, quando ho iniziato a spiegare su Twitter la serie di comportamenti razzisti e micro aggressioni che una donna nera affronta, ho trovato un numero spropositato di persone inconsapevoli della gravità di questi atteggiamenti.
Quando nasci in un Paese avendo un colore diverso da quello considerato “normale” e sei anche donna, passi buona parte della tua esistenza a cercare di scrollarti di dosso i pregiudizi che vengono affibbiati ad entrambe le categorie. Donna e nera.

Ho pensato spesso di non andare bene, di non rispettare i canoni.
Durante l’adolescenza inizi a cercare dei modelli a cui fare riferimento, ma sui magazine non trovavo nessun tipo di rappresentazione che parlasse a me. Anche perché lo standard di riferimento era Kate Moss.
Ci sono ragazze, come l’influencer Sandra Lambeck, che fanno ricorso a creme schiarenti e, per quanto possa sembrare folle, io capisco il dolore che ti porta a fare qualcosa di così estremo: non vuoi solo essere considerata bella ma anche “normale”.
Il colore della tua pelle è un problema nel momento in cui non viene mai preso in considerazione ergo non è la normalità.
Si potrebbe pensare che le cose siano migliorate, ma la realtà è che si fa ancora fatica a trovare una donna nera in copertina. È una rarità e questo, ovviamente, fa pensare che ancora oggi non meritiamo lo stesso livello di rappresentazione.
Razzismo sistemico e makeup
Ci ho messo anni a trovare prodotti di make-up adatti alla mia carnagione, la tonalità più scura disponibile sarebbe andata bene per Beyoncè.
I brand con una gamma di colorazioni di fondotinta e correttori ampia sono ancora pochi. E in Italia la situazione è ulteriormente complicata dal fatto che, anche se hai individuato un brand che produce una nuance adatta a te, nella maggior parte dei casi è introvabile nei negozi. Fai un giro nei negozi di cura della persona, troverai sempre le stesse 4 tonalità per pelle chiara.

Capita spessissimo che le commesse si ostinino a venderti un fondotinta più chiaro della tua carnagione di almeno tre tonalità o che ha un sottotono color cemento.
E allora io mi domando: perché mi devo accontentare di qualcosa che non va bene per me? Perché ancora nel 2020 ci dobbiamo “adattare” e non è il mercato ad essere più inclusivo?
Perché le donne nere non sono considerate un target di mercato e a nessuno importa che un brand produca 16 colorazioni per pelli bianche e solo 4 per pelli scure?
Possono sembrare dei problemi minori a un occhio esterno ma è l’ennesimo caso in cui i nostri bisogni e le nostre necessità non vengono minimamente presi in considerazione.
Razzismo sistemico e capelli afro
La questione capelli è ancora più complessa: spesso e volentieri mi sono trovata a dover dare giustificazioni del perché non portassi i miei capelli naturali sciolti.
Facciamo un passo indietro.

Se vedi una ragazza nera con i capelli lisci effetto seta, al 98% è una parrucca. Questo non vuol dire che si odia o che disprezza se stessa e/o i suoi capelli.
Ci sono un milione di ragioni per cui possiamo scegliere di non portare i nostri capelli naturali: perché non abbiamo voglia di curarli (sono delicati e richiedono tantissime cure e attenzioni), perché ci piacciono le extensions da 60 cm di capelli ricci, lisci o mossi. Questo non significa che non ci accettiamo. Un po’ come chi è castana naturale ma si fa bionda: non vuol dire che odi se stessa, semplicemente fa quello che le va di fare.
Quello che non accettiamo è di trovarci tra i capelli le mani di sconosciuti che non sono in grado di rispettare le regole della buona educazione e che vedono la nostra testa come un parco divertimenti per chi ha i pollici opponibili.
Pressare una donna nera affinché tenga i suoi capelli naturali è inopportuno tanto quanto ficcarle le mani in testa senza neanche chiedere il permesso.
C’è anche da dire che facciamo fatica a trovare prodotti per i nostri capelli. Se sei una donna nera e speri di andare al supermercato e trovare uno shampoo adatto puoi tranquillamente arrenderti.
Vi racconto una storia a proposito. Loretta è una ragazza afroitaliana di Cremona che qualche mese fa ha comprato uno shampoo per capelli ricci di un noto brand.
Inizialmente sembrava funzionare. Peccato che, dopo qualche utilizzo, i capelli hanno finito per seccarsi. Loretta contatta l’assistenza clienti via telefono. La prima consulente risponde sorpresa, perché “hanno ricevuto molti apprezzamenti da parte di persone con capelli afro” e proprio non si spiega come sia potuto succedere il fatto di cui si lamentava lei. Cade la linea, Loretta richiama.
E la seconda consulente – decisamente più onesta – ammette che nessuno dei loro prodotti va bene per il capello afro. Assurdo vero? Ancora una volta, mancanza di considerazione per chi non aderisce ai canoni di “normalità”.
“Sei bella per essere nera”: il corpo e la percezione altrui che diventa la tua
Ogni ragazza nera che conosco da piccola veniva presa in giro per i suoi capelli e per il colore della sua pelle.
Quando i miei compagni di scuola facevano le famose classifiche delle “più belle della classe” finivo sempre in fondo e mi veniva spiegato che il motivo era il fatto che fossi nera, a loro non piaceva.
Ci ho messo anni a piacermi, a togliermi di dosso l’idea che il colore della mia pelle potesse impedire a qualcuno di trovarmi attraente.
Poi, crescendo, mi sono imbattuta nella categoria peggiore di uomini, quelli che negli anni hanno sviluppato un vero e proprio feticcio verso le donne nere.
Questo non li rende meno razzisti, anzi. Per loro il tuo corpo è un oggetto, sei una sfida, un nuovo ristorante da provare.
Quando ti senti dire “Sei bella per essere nera” puoi notare anche un’espressione di stupore/meraviglia: dopotutto, per una straordinaria serie di casualità, ti trovi a coincidere con ciò che ritengono attraente. Il che è strano, visto che sei nera. Tu non sei assolutamente il suo standard di bellezza ma sei fortunata: lui, nonostante tutto, ti trova bella.
Inizialmente prendevo questa frase come un (gran) complimento e ho capito quanto ciò fosse problematico nel momento in cui ho iniziato a piacermi e a vedere che altre ragazze avevano subito la mia stessa esperienza.
Avevamo interiorizzato quel concetto secondo cui una donna nera non è bella ma solo volgare eppure, Sempronio ci considerava un’eccezione! “Sei bella per essere nera”. Terrificante, tornassi indietro farei la pazza.
Poi abbiamo quelli del “Non sono mai stato con una come te” e tu ti fai un’ispezione veloce per controllare che non ti siano cresciute 4 braccia o dieci occhi, altrimenti non si spiegherebbe la loro interessante scelta di parole. Non siamo creature mitologiche, siamo persone e ci piacerebbe molto essere trattate come tali.
Anche dire “Sembri [inserire nome della celebrità nera]” è un pessimo complimento.
Mi fai pensare che tu mi ritenga attraente solo se riesci ad associare il mio aspetto a quello delle uniche tre donne nere che conosci e che sono universalmente considerate attraenti (Beyoncè, Rihanna, Naomi Campbell).
Tuttavia lo stereotipo che più ha accompagnato la mia adolescenza e gli anni successivi è quello del nera = facile.
Come se il nostro unico scopo fosse essere una fantasia vivente 24/24 tipo Ainett Stephens, la Gatta Nera de Il Mercante in Fiera, per cui, appena un uomo ci prova, praticamente ci siamo già strappate i vestiti di dosso.
Spoiler: non è così. Per anni, come tutte le mie amiche, mi sono dannata e logorata il fegato facendo calcoli degni di Alan Turing su quanto tempo dovesse passare prima di poter avere rapporti con un ragazzo senza essere considerata una poco di buono.
La mia paranoia era “doppia” in quanto rischiavo di passare per “una facile” in quanto donna e in quanto nera, ergo senza dignità essendo una fantasia vivente 24/24.
Crescendo ho capito che era un ragionamento privo di logica: avere rapporti dopo un giorno o dopo sei mesi non ti definisce né come donna né come persona. Non determina quanto valore dai al tuo corpo o quanto rispetto hai per te stessa.
Trovo molto più irrispettoso prendere decisioni sulla base di quello che pensa una società che giudica una donna per il modo in cui gestisce la sua sessualità ma applica un metro di paragone opposto se si tratta di un uomo.
Già che ci siamo, dovremmo anche smetterla di pensare in termini di “darla o non darla”, non è un pacco postale.
Razzismo e sessismo vanno a braccetto
Facciamo parte di due categorie e nessuna di queste ci da qualche forma di privilegio.
Ho perso il conto delle volte in cui mi vengono rivolti sguardi sconvolti quando l’interlocutore capisce che non sono una bambolina color ebano, che sono capace di articolare un discorso, che parlo un italiano migliore del suo, che sono in grado di parlare di politica, musica, make-up o di quale sia il mio personaggio preferito di Gilmore Girls.
Per quanto passiamo effettivamente buona parte della nostra vita a scrollarci di dosso i pregiudizi di una società che non ci vuole vedere e ascoltare, ho imparato che non è mio compito smantellare lo stereotipo che mi viene appiccicato addosso. Lo stereotipo non fa parte di me, ma della mentalità di chi non riesce a mettersi in discussione.
Di chi ha assorbito così tanto razzismo e misoginia, da non riuscire a fare i conti con il privilegio che gli consente di poter affermare “Secondo me la discriminazione che dici tu non esiste”.
Quando ero piccola, mia madre non mancava mai di ricordarmi che anche se sono nata a Milano e sono a tutti gli effetti italiana, raramente sarei stata considerata come tale.
Motivo per cui avrei dovuto lavorare il doppio degli altri per ottenere la metà e ritrovarmi quasi sempre a dover alzare la mia voce più di chiunque altro per farmi ascoltare. Il tempo le ha dato ragione (come a tutte le mamme) e io stessa ho capito con l’esperienza che la difficoltà aumenta se sei anche donna.
Mi chiamo Jacklin, ho 25 anni e studio Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi dell’Insubria di Varese. Sono nata a Milano, mia madre è ruandese e mio padre è senegalese.
Ciao Jacklin,
capisco bene le tue parole e purtroppo penso che valgano non solo in Italia ma in diversi paesi. Mi rendo conto che fanno parte di un processo culturale sbagliato o mancanza di cultura che ancora non viene colmata. Mi auguro che in futuro la situazione migliori fino al superamento di questi paradossi.
Mi chiamo Andrea e sono un operatore educativo culturale.