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Cinema e TV

Netflix lancia Brick, il thriller psicologico che ti farà venire i brividi

Brick è il nuovo thriller psicologico su Netflix che mette in scena l’incubo di un intero palazzo murato vivo. Tra tensione, paranoia e mistero, un film che lascia il segno.

Netflix lancia Brick, il thriller psicologico che ti farà venire i brividi

Il nuovo thriller psicologico Brick su Netflix fa venire i brividi perché racconta la paura in modo inaspettato: un muro che chiude fuori il mondo e intrappola dentro il peggio dell’umanità.

Quando si parla di thriller claustrofobici e ad alta tensione, la mente corre subito a situazioni limite, a spazi chiusi dove la paranoia si infila come una crepa nel muro. E proprio di muri, nel senso più letterale e più simbolico del termine, si occupa Brick, il film tedesco appena arrivato su Netflix. Un titolo che, pur partendo da una premessa quasi surreale, riesce a restare ancorato a paure molto reali.


Se l’idea di un intero palazzo murato vivo stuzzica la fantasia, forse vale la pena dare un’occhiata più da vicino. Dentro Brick si nasconde molto più di quanto sembri. Non solo tensione, ma anche critica sociale, dinamiche di gruppo, e un senso costante di minaccia, dentro e fuori. A tratti, è come se si stesse assistendo a un esperimento psicologico estremo, dove la sopravvivenza può dipendere da chi si ha accanto.


Brick su Netflix: la trama di un incubo senza via d’uscita

In Brick, tutto comincia in modo quasi intimo: una coppia in crisi, Tim e Olivia, che cerca di ricucire i pezzi di una relazione segnata dalla perdita del figlio. Lui è un programmatore di videogame, lei vuole fuggire a Parigi per cambiare aria. Ma proprio nel momento della rottura, quando Olivia decide di andarsene, accade l’imprevisto. La porta non si apre. Davanti c’è un muro di mattoni magnetici, che blocca anche finestre e accessi. Tutto l’edificio è intrappolato.

Il panico si insinua piano. All’inizio si crede che sia un incidente, poi si tenta di rompere le pareti, si cerca campo sul cellulare, si urla. Nessuna risposta. I vicini si uniscono, chi con paura, chi con razionalità. L’unica via possibile sembra essere scavare verso il seminterrato, dove c’è un vecchio rifugio antiaereo. Il piano è semplice solo in teoria: sfondare i pavimenti, appartamento dopo appartamento.

Ma ogni piano è un universo a parte. In uno c’è un cadavere con le mani mozzate. In un altro, telecamere nascoste nei rilevatori di fumo. C’è chi impazzisce, chi sospetta tutto e tutti, e chi vuole solo andarsene. Il clima si fa presto insostenibile, la sopravvivenza diventa un terreno minato di sospetti, deliri e alleanze fragili.


Thriller psicologico o metafora sociale? Il film che mette a disagio

Il bello di Brick è che non offre mai una verità sola. C’è chi pensa che sia un esperimento, chi incolpa il governo, chi parla di alieni. E poi c’è Yuri, un ex poliziotto che ha una sua teoria: il muro sarebbe un sistema di difesa contro una guerra chimica in corso, costruito da un “nuovo ordine mondiale” per salvare i pochi selezionati. Visione folle? Forse, ma anche inquietantemente logica in un contesto così deviato.

Tutto ciò che sta fuori, in fondo, non viene mai mostrato. L’unico mondo è quello dentro il palazzo. E dentro, tutto è esasperato. Le relazioni, le paure, le pulsioni più oscure. Si potrebbe dire che Brick non sia solo un thriller, ma una metafora psicologica sulla perdita del controllo, sull’isolamento forzato e sulla sottile linea che separa civiltà e barbarie.


Certe dinamiche ricordano Il signore delle mosche, altre fanno pensare a The Mist di Stephen King. Ma con una differenza sottile: qui non c’è mostro visibile. Il pericolo è tutto umano. O forse interiore. E questa ambiguità lascia uno strano disagio anche dopo i titoli di coda.

Cast, tensione e atmosfera: perché Brick merita attenzione

Gran parte del merito va a un cast che sa essere credibile anche nei momenti più sopra le righe. Matthias Schweighöfer, già visto in Oppenheimer, qui interpreta un Tim pacato ma teso, capace di mantenere una calma apparente che amplifica il contrasto con l’isteria collettiva. Ruby O. Fee è una Olivia credibile, combattuta tra la voglia di fuga e l’istinto di protezione.


Tra i personaggi secondari, spicca Yuri, interpretato da Murathan Muslu, che regala una delle performance più disturbanti del film. Un uomo consumato dalla paranoia, che passa da guida razionale a minaccia incontrollabile in poche scene. Il suo volto scavato, lo sguardo acceso da fanatismo, diventano quasi più inquietanti del misterioso muro.

La regia di Philipp Koch sceglie la sottrazione: mai una spiegazione chiara, mai un colpo di scena esagerato. Si preferisce costruire lentamente l’atmosfera, puntare sull’oppressione e sul senso di impotenza. A livello visivo, si gioca molto con luci fredde, spazi stretti, rumori metallici e ambienti sempre più degradati. Ogni dettaglio contribuisce a creare un’angoscia crescente.

Brick è imperfetto, certo. Alcune sottotrame restano abbozzate, certe metafore risultano un po’ forzate. Ma nel complesso, riesce a colpire dove serve. Fa riflettere. E mette a disagio nel modo giusto, senza bisogno di effetti speciali o creature mostruose. Solo esseri umani al limite.

Foto © Youtube


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