Un attacco informatico scuote gli Stati Uniti e un ex presidente è chiamato a risolvere la crisi. Robert De Niro torna sullo schermo con un ruolo inaspettato in una serie che mescola suspense, politica e paranoia.
La nuova miniserie “Zero Day”, disponibile su Netflix, propone una narrazione intensa e ricca di colpi di scena. La storia ruota attorno a un blackout digitale di un minuto che causa il caos e lascia dietro di sé migliaia di vittime. Il governo, nel tentativo di ripristinare l’ordine, richiama in servizio George Mullen, un ex presidente interpretato da De Niro, per guidare un’agenzia speciale con poteri straordinari.
Tuttavia, il protagonista non solo deve affrontare le tensioni politiche e sociali che minacciano di destabilizzare il paese, ma anche le proprie ombre interiori, tra visioni enigmatiche e una realtà sempre più difficile da decifrare. La serie, creata da Eric Newman, Noah Oppenheim e Michael Schmidt, e diretta da Lesli Linka Glatter, promette un racconto teso e attuale, in grado di rispecchiare le ansie della società moderna. Ma riesce davvero a soddisfare le aspettative o si perde tra cliché e ambizioni eccessive? Scopriamolo insieme.
Un thriller politico tra tensione e mistero
In “Zero Day”, l’America si trova a fronteggiare una minaccia invisibile e terrificante: un attacco informatico su larga scala che blocca per sessanta secondi le reti di comunicazione e l’energia elettrica, causando panico e morte. Il messaggio degli attentatori è chiaro: il disastro si ripeterà, ma nessuno sa quando. Per rispondere alla crisi, il governo si affida a George Mullen, ex presidente ormai in pensione, incaricato di guidare una task force con poteri quasi illimitati per trovare i responsabili e scongiurare un nuovo attacco.
Tuttavia, non tutti approvano la sua nomina. Washington è divisa, tra chi vede in lui un leader esperto e chi teme l’accentramento di potere nelle sue mani. Mullen stesso, nel corso delle indagini, inizia a manifestare sintomi preoccupanti: sente musiche che nessun altro percepisce, vede figure che nessun altro riconosce. È solo stress o qualcosa di più profondo? La sua mente gli sta giocando brutti scherzi o è l’unico in grado di vedere la verità?
Con atmosfere che ricordano “Homeland”, la serie si muove abilmente tra intrighi politici, cyber-guerra e paranoia, cercando di bilanciare l’azione con una riflessione più ampia sulla fragilità del sistema americano. Tuttavia, l’abbondanza di elementi narrativi finisce per complicare la fluidità del racconto, rendendo alcuni snodi della trama meno incisivi.
Zero Day: una critica sociale tra realtà e finzione
Oltre a essere un thriller avvincente, “Zero Day” è anche una riflessione sullo stato attuale dell’America. La serie dipinge un paese diviso, fragile e vulnerabile, in cui la politica sembra incapace di trovare soluzioni condivise. Il personaggio di George Mullen, con i suoi problemi cognitivi e la sua leadership controversa, potrebbe essere visto come un’allusione a Joe Biden, un leader anziano richiamato a risolvere una crisi epocale.
Il tema della disinformazione e dell’estremismo è centrale: la serie mette in scena il contrasto tra il caos dei social media, la paura dell’ignoto e il desiderio di tornare a un passato più sicuro. Tuttavia, non sempre riesce a offrire risposte convincenti. A volte, sembra guardare con nostalgia a un’epoca politica ormai superata, senza interrogarsi davvero su cosa significhi governare nel mondo moderno.
Nonostante alcune debolezze nella struttura narrativa, “Zero Day” resta una serie avvincente e coinvolgente, capace di intrattenere e far riflettere. Con un Robert De Niro magnetico e un cast di alto livello, la miniserie di Netflix si pone come uno degli eventi televisivi dell’anno, pur lasciando alcuni interrogativi irrisolti sulla sua reale incisività.
Un cast stellare al servizio della storia per Netflix
Uno degli aspetti più interessanti di “Zero Day” è sicuramente il cast eccezionale, che riunisce alcune delle migliori interpretazioni del panorama cinematografico e televisivo. Oltre a Robert De Niro, troviamo:
- Joan Allen, nel ruolo di Sheila Mullen, moglie dell’ex presidente e candidata alla Corte Suprema.
- Lizzie Caplan, che interpreta la figlia di Mullen, una deputata ambiziosa e determinata a distanziarsi dall’eredità politica del padre.
- Connie Britton, nei panni della scaltra capo di gabinetto con legami intricati con la famiglia Mullen.
- Jesse Plemons, nei panni di Roger, assistente losco e ambiguo con un ruolo chiave nella storia.
- Angela Bassett, che veste i panni della presidente degli Stati Uniti, in una performance autorevole e intensa.
- Dan Stevens, nel ruolo di un influente teorico del complotto alla Alex Jones, simbolo della crescente sfiducia nelle istituzioni.
La chimica tra gli attori e la loro capacità di rendere credibili e sfaccettati i personaggi rappresentano uno dei punti di forza della serie, contribuendo a mantenere alta la tensione anche nei momenti in cui la narrazione appare meno coesa.
Foto © Netflix