Alien: Pianeta Terra è la serie sci-fi più inquietante del 2025: horror viscerale, riflessioni sul postumanesimo e creature da incubo ti aspettano su Disney+.
Ambientata in un futuro non troppo lontano, la serie Alien: Pianeta Terra riprende il cuore più oscuro della saga cinematografica e lo spinge oltre ogni limite già conosciuto. Sì, ci sono gli xenomorfi. Sì, ci sono navicelle, corridoi stretti, facehugger e androidi. Ma c’è anche qualcosa di più sottile e disturbante: un universo narrativo che mette a nudo l’umanità, la sua sete di potere, e la paura ancestrale di essere sostituiti. Il tutto raccontato con uno stile crudo, a tratti poetico, sempre profondamente inquietante.
Per chi non vuole solo “guardare” una serie, ma viverla sulla pelle, questa nuova produzione di Disney+ rappresenta un vero e proprio viaggio emotivo. Non si tratta soltanto di intrattenimento, ma di un’esperienza visiva e concettuale che lascia il segno.
Il ritorno dell’incubo: Alien si fa più umano (e più disumano)
Dopo Prometheus e Covenant, molti fan avevano perso le speranze. La saga sembrava essersi arenata, persa in spiegazioni mitologiche e trame poco convincenti. Poi arriva Alien: Pianeta Terra, ideata da Noah Hawley, lo stesso creatore di Fargo e Legion, e tutto cambia. Otto episodi che riportano in scena l’atmosfera claustrofobica dell’originale, ma contaminata da un’ansia più attuale, più sociale, quasi esistenziale.
Ambientata prima degli eventi di Aliens, la serie si muove tra esperimenti genetici, cyborg inquietanti e bambini ibridi che non cresceranno mai. Già questo basta per far salire la tensione. Ma non è tutto. Il potere è nelle mani di cinque megacorporazioni globali (tra cui la famigerata Weyland-Yutani), e la lotta non è solo contro gli alieni, ma per la supremazia del modello post-umano perfetto: sintetico, immortale, efficiente.
La figura più disturbante? Boy Kavalier, giovane CEO di Prodigy, che trasferisce la coscienza dei bambini in corpi sintetici. Il suo antagonismo non è esplicito, ma permea ogni scena. Le sue scelte muovono i fili del mondo. E fa paura proprio perché è plausibile. Un Elon Musk ventenne, freddo, visionario e profondamente amorale.
Il tono horror si mantiene costante. Ma è un horror che colpisce allo stomaco, più psicologico che splatter, più suggerito che mostrato. Anche se, quando mostra, non risparmia nulla: il body horror tocca livelli che non si vedevano dalla Clonazione. E attenzione: se si ama anche solo vagamente gli animali, alcune sequenze potrebbero davvero risultare insostenibili.
La serie sci-fi di Disney+ che mette in crisi ogni certezza
È interessante notare come la serie si inserisca nel trend crescente della fantascienza distopica con risvolti filosofici. Ma Alien: Pianeta Terra fa un passo ulteriore: non si limita a immaginare un futuro orribile, ma lo rende estremamente credibile. Più di una volta ci si ritrova a pensare: “E se stesse già succedendo?”.
Le tecnologie presenti nella serie non sembrano così lontane. Trasferimento di coscienza, manipolazione genetica, androidi con coscienza autonoma: sono tutti temi già sul tavolo della scienza contemporanea. Eppure, nella serie, queste invenzioni non salvano l’umanità. La rendono più fragile, più corrotta, più crudele.
Tra le figure più riuscite spicca Wendy, una bambina ibrida intrappolata in un corpo adulto, guida silenziosa di un gruppo di “bimbi sperduti” postumani. La sua storia emoziona, turba, fa riflettere. Così come Hermit, il fratello umano, unico personaggio capace di incarnare un briciolo di empatia in un mondo che ne ha dimenticato il significato.
Quello che colpisce è la cura maniacale per i dettagli. Gli appassionati della saga noteranno citazioni visive, sonore e narrative sparse ovunque. Dai suoni dei mitra alla struttura delle astronavi, dalle scene con i facehugger ai richiami espliciti ad Ash, Bishop e David. Ma non è mai fan service gratuito. Ogni riferimento ha un senso, un peso narrativo.
E i nuovi mostri? Da incubo. L’iconico xenomorfo fa ancora paura, ma sono le nuove creature a lasciare il segno: su tutte, un parassita a forma di occhio che evoca disgusto e meraviglia al tempo stesso. Non si può dire altro senza rovinare la sorpresa, ma il livello di imprevedibilità e tensione è altissimo.
L’orrore del postumanesimo e l’eterna domanda: che fine ha fatto l’umanità?
C’è un filo rosso che attraversa ogni episodio, ed è la riflessione sull’evoluzione dell’essere umano, raccontata con una delicatezza che colpisce. In questo futuro carico di ansie, dove la natura si ribella e la tecnologia sembra volerci sostituire, ci si trova spesso a trattenere il fiato. Dove si sta andando davvero? Ha ancora senso parlare di progresso se in cambio si perde ciò che ci rende autenticamente umani? Ogni scelta compiuta dai personaggi, ogni esperimento, ogni creatura incontrata solleva una domanda scomoda. E forse, tra le righe, il vero orrore non è la fine dell’umanità, ma il suo lento dissolversi. E quel dubbio silenzioso che rimane in sottofondo è il più umano di tutti: siamo ancora noi, oppure siamo già diventati qualcos’altro?
Nel corso degli episodi emerge con forza un tema: l’identità. Non solo quella genetica o fisica, ma quella morale. Un androide può essere più umano di un uomo? Un ibrido può amare? E soprattutto: che senso ha parlare di “umanità” in un contesto dove l’etica è stata sacrificata sull’altare dell’efficienza? La risposta non arriva mai in modo diretto. Ma si insinua. E resta.
È proprio questa ambiguità, questa sensazione di disagio costante, a rendere Alien: Pianeta Terra una serie sci-fi così potente e disturbante. Un racconto che non consola, non rassicura, e anzi, lascia aperti tutti i dubbi. Forse è per questo che funziona così bene. Perché si limita a mettere davanti a uno specchio, mostrando quello che già si teme, ma che si preferisce ignorare.
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