Il 3 ottobre arriva su Netflix Steve, il nuovo film con Cillian Murphy: un dramma intenso che esplora la fragilità umana in un mondo che non perdona, tra emozioni forti e silenzi che parlano più delle parole.

È interessante notare come, ogni tanto, tra i titoli che scorrono nella home di Netflix, ne appaia uno che sembra parlare sottovoce ma con parole pesanti. Steve è proprio così: un film che non urla, ma scava. Ambientato in un istituto di recupero per adolescenti, con un preside allo stremo e ragazzi pieni di ombre, si prepara a toccare corde profonde. La collaborazione tra Cillian Murphy e il regista Tim Mielants, già apprezzata in Peaky Blinders e Piccole cose come queste, promette un’altra prova intensa e carica di tensione emotiva.
Per chi cerca storie che parlano di fragilità, scelte difficili e piccole battaglie quotidiane, Steve potrebbe essere la visione giusta da mettere in lista.
Steve su Netflix: un viaggio psicologico che inizia il 3 ottobre
Quando si parla di film drammatici su Netflix, ci si aspetta spesso trame forti, personaggi tormentati e atmosfere che restano addosso anche dopo i titoli di coda. Ma Steve sembra voler fare qualcosa di più: raccontare 24 ore di vita in cui tutto può cambiare, in peggio o forse in meglio.
La storia ruota attorno a Steve, un preside stanco e provato, interpretato da Cillian Murphy con uno sguardo che dice molto più di mille battute. A circondarlo, ragazzi difficili, educatori allo stremo e un sistema che sta crollando. L’istituto è sul punto di chiudere e Steve non combatte solo per salvare il posto, ma anche per tenersi insieme.
Il film è tratto dal romanzo “Shy” di Max Porter, che ha curato anche la sceneggiatura. Una scelta che si percepisce nello stile narrativo: asciutto, diretto, senza abbellimenti. L’obiettivo non è stupire, ma colpire dove fa male.
Non si tratta però solo della storia del protagonista. C’è anche Shy, interpretato da Jay Lycurgo, un adolescente pieno di rabbia e paura, in bilico tra il desiderio di sparire e quello di essere salvato. Un personaggio che fa da specchio alle fragilità degli adulti, mostrando quanto a volte i ruoli si confondano.
Nel cast anche Emily Watson, Tracey Ullman e Roger Allam, in un equilibrio delicato tra performance intense e dialoghi che evitano ogni retorica.
Cillian Murphy e Tim Mielants: un’accoppiata che funziona
C’è qualcosa di familiare e al tempo stesso sorprendente nella coppia formata da Cillian Murphy e il regista belga Tim Mielants. Dopo il successo in Peaky Blinders e l’intensità di Piccole cose come queste, con Steve si alza ulteriormente l’asticella.
La regia è essenziale ma non fredda. Ogni inquadratura sembra costruita per stare dentro la testa dei personaggi, più che per raccontare dove si trovano. Le luci, i silenzi, i movimenti lenti: tutto sembra pensato per restituire un clima teso, quasi claustrofobico. Ma è proprio lì che si insinuano le emozioni.
Murphy, da parte sua, conferma la sua abilità nel portare sullo schermo personaggi spezzati. Steve non è un eroe, né un martire. È solo un uomo che prova a tenere in piedi qualcosa mentre tutto intorno crolla. E quel suo non arrendersi, pur nel caos, è forse la cosa più umana che si possa raccontare.
Steve e Shy: due generazioni allo specchio
Uno degli elementi più forti del film è la dinamica tra Steve e Shy. Due mondi diversi, due età opposte, ma con ferite simili. Il modo in cui il film costruisce questo parallelismo è sottile ma incisivo. Non ci sono grandi discorsi, né monologhi teatrali. Solo piccoli gesti, sguardi sfuggenti e silenzi che dicono tutto.
Nel racconto di Steve c’è anche una critica sociale che non cerca facili bersagli. Non è il solito attacco al sistema scolastico o al degrado urbano. È piuttosto un tentativo di mostrare quanto è difficile restare umani in un mondo che non ascolta. E come, a volte, anche chi guida può sentirsi più perso di chi dovrebbe essere guidato.
La pellicola, pur con la sua durata contenuta, lascia spazio alla riflessione. Non è un film da guardare mentre si cucina o si scrollano i social. Richiede attenzione, empatia, e magari anche una certa predisposizione all’inquietudine. Ma in cambio offre qualcosa di raro: la sensazione di aver visto un frammento autentico di vita.
Una scommessa per Netflix e una sfida per lo spettatore
Steve non è il classico prodotto da binge-watching, e probabilmente non è pensato per esserlo. In un panorama di contenuti veloci e dimenticabili, Netflix punta su un’opera che ha bisogno di tempo per essere digerita. Una mossa coraggiosa? Forse sì, ma anche necessaria.
Si è ormai abituati a contenuti confezionati per intrattenere senza disturbare. E invece Steve disturba, mette a disagio, fa emergere domande che non sempre trovano risposta. Ed è proprio qui che si misura la sua forza.
Difficile dire se sarà un successo di pubblico, ma è probabile che diventi un punto di riferimento per chi cerca nel cinema qualcosa di più che semplice intrattenimento. Perché ogni tanto c’è bisogno di storie che non consolano, ma che fanno compagnia nel dubbio. E Steve lo fa, senza sconti.
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