Un film del 1965 ha cambiato il cinema italiano per sempre: I pugni in tasca di Marco Bellocchio è una critica feroce alla famiglia borghese. Scopri perché oggi è ancora più attuale.
C’è un momento, in ogni epoca, in cui qualcosa si spezza. Una linea di confine invisibile si supera, e da lì in poi nulla è come prima. Questo accadde con I pugni in tasca, l’opera prima di Marco Bellocchio. In un’Italia che si affacciava al boom economico, tra ottimismo, moralismo e tradizioni cattoliche, un giovane regista decise di puntare dritto al cuore dell’ipocrisia borghese. Il risultato? Un film disturbante, crudele, claustrofobico. Ma anche liberatorio, spiazzante, incredibilmente moderno.
Oggi che il cinema cerca spesso sicurezza nei remake, nei sequel o nei biopic patinati, fa impressione ripensare a quell’opera girata con pochi mezzi, in casa propria, eppure capace di aprire una crepa profonda nel nostro immaginario collettivo. Non solo un film, ma un vero atto di rottura. Se stai cercando uno sguardo diverso sul cinema italiano, una chiave per interpretare la nostra società oltre gli stereotipi rassicuranti, è il momento giusto per riscoprire I pugni in tasca. Non serve amare il cinema d’autore per restare colpiti: basta voler guardare un po’ più a fondo.
Il film che ha frantumato il mito della famiglia perfetta
Cosa racconta I pugni in tasca? Apparentemente, una semplice storia familiare. Una madre cieca, quattro figli adulti che vivono ancora con lei, ognuno intrappolato nel proprio disagio. Ma dietro le pareti domestiche si muove un’energia cupa, sotterranea. Alessandro, il figlio epilettico e brillante, concepisce un piano glaciale: eliminare la madre e i fratelli per liberare il fratello maggiore dal peso di una famiglia “malata”. Un delirio? Forse. O forse una forma estrema di lucidità.
Bellocchio non offre interpretazioni rassicuranti. Nessun eroe, nessun antagonista chiaro. Solo tensione, nevrosi, rituali svuotati di senso. Ogni gesto quotidiano si ripete come in un loop malato. Le crisi epilettiche di Alessandro diventano metafore di un corpo (e di una società) che non riesce più a contenere la propria violenza repressa.
A colpire è la totale assenza di giudizio morale. Si assiste a qualcosa che somiglia più a un esperimento antropologico che a una narrazione. Eppure è impossibile restare indifferenti. È come se il film ti mettesse davanti a uno specchio incrinato: si vedono le crepe, e non si riesce a smettere di guardare.
Un’estetica radicale per un’idea nuova di cinema italiano
La forza di I pugni in tasca non sta solo nella storia che racconta, ma anche nel modo in cui lo fa. La regia affilata, la fotografia in bianco e nero tagliente, il montaggio spezzato: tutto contribuisce a creare un clima disturbante, che respira l’influenza della Nouvelle Vague ma con un’anima profondamente italiana.
La colonna sonora di Ennio Morricone accompagna la narrazione con toni che oscillano tra l’ironico e il funebre. Anche i simboli religiosi e familiari, solitamente sacri nel nostro immaginario, vengono messi in scena come riti svuotati: un funerale attraversato come una corsa a ostacoli, un rogo di oggetti come rito liberatorio. Nulla è sacro, tutto può essere ridiscusso.
Ecco alcuni elementi che rendono il film ancora oggi incredibilmente attuale:
- L’ambientazione claustrofobica, perfetta metafora della pressione sociale.
- Il protagonista disturbante, ma impossibile da ignorare.
- L’uso della casa d’infanzia del regista come set reale.
- L’attacco esplicito ai valori tradizionali come famiglia, chiesa, ruoli di genere.
Non stupisce che all’epoca fu considerato scandaloso. Ma oggi lo si guarda con occhi diversi. Come un punto di svolta.
Perché è ancora un film necessario oggi
A quasi sessant’anni dalla sua uscita, I pugni in tasca conserva una forza che pochi film italiani possono vantare. Non solo per l’audacia del racconto, ma per ciò che rappresenta: la nascita di un cinema più coraggioso, meno didascalico, più disposto a guardare dentro il buio.
In un presente in cui si parla molto di crisi dei modelli familiari, identità fluide, rifiuto delle regole imposte, l’opera di Bellocchio suona meno provocatoria e più profetica. È interessante notare come, proprio ora, si cerchi sempre più di dare spazio a narrazioni che mettono in discussione la cosiddetta normalità.
I pugni in tasca è un film scomodo, ma proprio per questo necessario. Costringe a fare i conti con l’inquietudine che ci portiamo dentro, con le tensioni che covano dietro le apparenze. E lo fa senza cercare una morale, ma lasciando spazio al dubbio.
È il tipo di opera che, una volta vista, non si dimentica. Non perché sia perfetta, ma perché è autentica, imperfetta, umana. E in un mondo che tende a lucidare tutto, fa ancora più effetto.
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